Mi detesto. Detesto il modo in cui parlo, la mia mimica facciale che non
mi permette di nascondere niente, non lascia spazio a libere
interpretazioni. Il modo in cui mi muovo e il modo in cui rimango inerme
di fronte a troppe situazioni. Detesto la facilità con cui perdo il
controllo, con cui alzo la voce. Odio la severità con cui mi tratto e la
permissività che concedo a chiunque, odio imporre a me stessa di non
raccontarmi per poi cedere, farlo, e pentirmene un secondo dopo.
Odio il fatto stesso che mi pento di ogni cosa; di essermi scusata, di
non averlo fatto, di aver concesso una seconda, terza e quarta occasione
o di non aver concesso nemmeno la prima.
Odio la mia eterna indecisione, il mio terrore costante di disturbare. Detesto lavorare su tutto questo, svegliarmi diversa, e detestare anche la nuova me, ogni volta. E più di tutto mi detesto per il fatto stesso di detestarmi.
Odio la mia eterna indecisione, il mio terrore costante di disturbare. Detesto lavorare su tutto questo, svegliarmi diversa, e detestare anche la nuova me, ogni volta. E più di tutto mi detesto per il fatto stesso di detestarmi.
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