IL DRAPPO ROSSO
Siamo un gregge di pecore sempre più mansuete, che si recano al
macello fischiettando. Le donne continuano a morire come cavallette,
ammazzate da maschi sempre più viziati dall’indifferenza alla vita
umana, trogloditi, sentimentalmente analfabeti. Ci basta un drappo rosso
o un fiocchetto colorato per dimostrare agli altri, a questo mondo che
appare sempre più un non luogo immenso e aperto, e che in realtà sempre
più ci chiude al centro delle nostre quattro mura,
impedendoci ogni azione e ogni reazione. Un fiocchetto per dire al
mondo tutta la nostra beltà, tutto il nostro candore dell’animo, mentre
tutto continua a marcire, infettato dall’ignoranza. Francamente, che la
presidente della Camera abbia esposto al balcone del suo ufficio un
drappo rosso, mi offende. Non è l’estetica insulsa di un gesto modaiolo
che potrà salvare le donne ammazzate per nulla, che potrà far cessare la
strage. Ci vuole impegno e fatica, ci vogliono soldi – quei soldi che
pare non ci debbano essere mai per le cose importanti, ma che continuano
ad essere razziati dall’avidità di pochi eletti malfattori. Come tutto,
come la storia ci avrebbe dovuto insegnare, per farci tornare a un
minimo accettabile di civiltà serve solo la cultura. Il sapere. La
conoscenza e la coscienza. Bisognerebbe insegnare i sentimenti ai
bambini, la sensibilità, l’uguaglianza, il rispetto per la vita che è
già viva. Ma da troppo tempo, ormai, ci si occupa più tangibilmente di
un embrione, che di un bambino che resterà orfano per mano del padre, o
che diventerà anche lui cadavere, pianto e applaudito quando sarà chiuso
dentro la cassettina di legno bianco che lo conserverà per sempre. E
laddove i danni son fatti, là dove ancora esistono gli analfabeti non
c’è bisogno di drappi rossi, ma di finanziamenti alle case protette,
alle strutture d’ascolto, ai consultori che chiudono per mancanza di
fondi ed energie, alle varie associazioni che si reggono sul
volontariato e sulle donazioni, sempre meno cospicue in un paese che
arranca e che inizia a dare del tu alla fame e alla povertà. C’è bisogno
di sostenere finanziariamente le donne prigioniere che dalle loro
prigioni non possono evadere, schiave della povertà che sempre più si
radicalizza nel paese. Bisognerebbe finanziare le scuole pubbliche e non
quelle che insegnano ancora alla donna che bisogna essere vergini e
pie, e al massimo sopportare in nome del Signore. Non sarà certo
l’esposizione di un drappo rosso a farci smettere di essere agnelli che
nemmeno avranno il tempo di diventare pecore.
Rita Pani
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