domenica 28 febbraio 2010

Non nascondere il segreto del tuo cuore..


Non nascondere

il segreto del tuo cuore,

amico mio!

Dillo a me, solo a me,

in confidenza.

Tu che sorridi così gentilmente,

dimmelo piano,

il mio cuore lo ascolterà,

non le mie orecchie.

La notte è profonda,

la casa silenziosa,

i nidi degli uccelli

tacciono nel sonno.

Rivelami tra le lacrime esitanti,

tra sorrisi tremanti,

tra dolore e dolce vergogna,

il segreto del tuo cuore.
.
Rabindranath Tagore

venerdì 26 febbraio 2010

E sto abbracciata a te


E sto abbracciata a te

senza chiederti nulla, per timore

che non sia vero

che tu vivi e mi ami.

E sto abbracciata a te

senza guardare e senza toccarti.

Non debba mai scoprire

con domande, con carezze,

quella solitudine immensa

d'amarti solo io.

Pedro Salinas

mercoledì 24 febbraio 2010

COLORE DI PIOGGIA E DI FERRO


Dicevi: morte, silenzio, solitudine;

come amore, vita.

Parole delle nostre provvisorie immagini.

E il vento s'è levato leggero ogni mattina

e il vento colore di pioggia e di ferro

è passto sulle pietre,

sul nostro chiuso ronzio di maledetti.

Ancora la verità è lontana.

E dimmi, uomo spaccato sulla croce,

e tu dalle mani grosse di sangue,

come risponderò a quelli che domandano?

Ora, ora: prima che altro silenzio

entri negli occhi, prima che altro vento

salga e altra ruggine fiorisca.


Salvatore Quasimodo

venerdì 19 febbraio 2010

"Amico mio"


Amico mio, io non sono ciò che sembro.
L'apparenza è come un abito che indosso,
un abito che protegge me dai tuoi interrogativi
e te dalle mie negligenze.
Amico mio, l'io dimora in me nella casa del silenzio
e lì rimarrà per sempre,
impercettibile e inavvicinabile.

Non voglio che tu creda ciecamente in ciò
che dico o faccio, le mie parole e le mie azioni infatti
non sono altro che i tuoi pensieri e le tue speranze resi tangibili.
Quando tu dici "Il vento spira verso est",
io confermo "Sì, spira proprio in quella direzione";
perché non voglio che tu sappia che la mia mente
non dimora nel vento ma nel mare.

Tu non puoi capire i miei pensieri
trasportati dalle onde, né voglio che tu lo faccia.
Preferisco navigare da solo.
Quando da te è giorno, da me è notte;
e pure descrivo il mezzogiorno che danza sulle colline e
la furtiva ombra purpurea che attraversa la valle;
perché tu non puoi udire il canto della mia oscurità
né vedere il battito delle mie ali contro le stelle;
del resto, meglio così.

Rimarrò solo con la mia notte.
Quando tu ascendi al Paradiso,
io scendo dall'inferno;
e quando, dalla riva opposta del golfo che ci separa,
mi chiami: "compagno, amico",
a mia volta ti chiamo "compagno, amico"
poiché non voglio che tu veda il mio Inferno.

La fiamma ti brucerebbe gli occhi
e il fumo ti invaderebbe le narici.
E io amo troppo il mio Inferno per fartelo visitare.
Resterò all'Inferno da solo.
Tu ami la Verità,
la Bellezza,
la Giustizia
e io per amor tuo dico che amare è giusto e decoroso,
anche se dentro di me rido del tuo amore.

Ma non voglio che tu lo veda.
Riderò da solo.
Amico mio, tu sei buono, cauto e saggio,
certo, sei perfetto.
Anch'io, benché sia pazzo,
quando parlo con te lo faccio con saggezza e con cautela,
mascherando la mia pazzia.

Sarò pazzo da solo.
Amico o nemico che tu sia,
come posso farti capire?
Anche se camminiamo insieme,
mano nella mano, la mia strada non è la tua.

Kahlil Gibran

giovedì 18 febbraio 2010

...NULLA...SEMPLICEMENTE NULLA...


...cosa rimane per me... dopo tutto quello che ho dato, dopo tutto quello che ho sacrificato, dopo aver donato la mia vita in nome di un ideale, di una morale, di valori, di principi...
...cosa rimane nelle sere in cui le braccia livide bruciano quanto il cuore trafitto...
...cosa rimane dopo anni di fatiche, di lacrime, di ferite, di parole, di sacrifici...
...cosa rimane dopo essersi plasmati ad immagine dei desideri degli altri...mai abbastanza all'altezza...mai abbastanza degna...
...le mani fanno male...la testa esplode...la mente impazzisce...
...cosa rimane per me...che troppo dono e nulla pretendo...e nulla ricevo...cosa può rimanere...


...NULLA...SEMPLICEMENTE NULLA...

mercoledì 17 febbraio 2010

Consunto da fatica, corro presto a letto


Consunto da fatica, corro presto a letto
caro ristoro al corpo distrutto dal cammino;
ma allor nella mia testa s'apre un'altra via
a stancar la mente or che il mio corpo ha tregua.
Svelti i miei pensieri da lontano ove dimoro
volgono in fervido pellegrinaggio a te
e tengono spalancate le mie palpebre pesanti
scrutanti quelle tenebre che il cieco sol conosce:
ma ecco che la vista immaginaria del mio cuore
presenta la tua ombra al mio sguardo senza luce,
che, simile a diamante sospeso nel buio più nero,
fa la cupa notte bella e il suo vecchio volto nuovo.
Così di giorno il corpo, di notte la mia mente
per colpa tua e mia non trovano mai pace.

William Shakespeare

lunedì 15 febbraio 2010

Er Gallo e er Cane


Prima che spunti er sole
la mattina abbonora, quanno er celo
arissomija un tantinello ar mare,
quanno che l'aria pare
ch'odori de viole,
er Gallo arza la testa,
sgrulla la cresta e fa: chicchirichì.
Una matina, un Cane, ner sentì
l'aritornello solito, je disse:
Zitto! chè se er padrone te sentisse
te tirerebbe er collo! Nu' lo sai
ch'er mi' padrone è un omo ricco assai?
Nun ha bisogno mica
d'arzasse accusì presto, capirai:
È tanto stracco! È stato co' l'amica!...
Io - fece er Gallo - canto solamente
pe' svejà chi lavora, chi fatica,
chi se guadagna er pane onestamente.
Lo vedi er campagnolo,
er vignarolo, l'ortolano? Stanno
già in piedi e se ne vanno
tutti contenti a lavorà in campagna:
se questi qui nun s'arzeno, er padrone
co' tutti li quatrini mica magna!
Io canto espressamente, e Dio ne guardi
se 'sta povera gente
se svejasse più tardi!
Ahó? Nun me fa' tanto er socialista,
je disse er Cane - intanto nun m'incanti:
nun m'hai da di' che canti cór pretesto
de svejà chi fatica e chi lavora;
piuttosto di' così: - Canto abbonora
perché la sera vado a letto presto!

Trilussa

sabato 13 febbraio 2010

Il Topo


Mi sveglio in un'ovatta interiore.
Allo scoccare dell'anno.
Qualcosa si è messo a scricchiolare, poi ha taciuto.
Il topo dell'anima pelustra il pavimento del corpo.
Rode, sale, si spinge verso altre zone.
E' un topo forte, affamato.
Dove andrà ora, mi chiedo, di notte soprattutto
quando non riesco a dormire.
Cosa mangia e come lo potremo mai calmare
io e la paura sua sorella che a fianco mi cammina cauta.

A.Anedda.

venerdì 12 febbraio 2010

Io sono verticale

Io sono verticale (Sylvia Plath 1932-1963) Ma preferirei essere orizzontale. Non sono un albero con radici nel suolo succhiante minerali e amore materno così da poter brillare di foglie a ogni marzo, né sono la beltà di un'aiuola ultradipinta che susciti grida di meraviglia, senza sapere che presto dovrò perdere i miei petali. Confronto a me, un albero è immortale e la cima di un fiore, non alta, ma più clamorosa: dell'uno la lunga vita, dell'altra mi manca l'audacia. Stasera, all'infinitesimo lume delle stelle, alberi e fiori hanno sparso i loro freddi profumi. Ci passo in mezzo ma nessuno di loro ne fa caso. A volte io penso che mentre dormo forse assomiglio a loro nel modo più perfetto - con i miei pensieri andati in nebbia. Stare sdraiata è per me più naturale. Allora il cielo ed io siamo in aperto colloquio, e sarò utile il giorno che resto sdraiata per sempre: finalmente gli alberi mi toccheranno, i fiori avranno tempo per me.

(Da "Attraversando l'acqua")

martedì 9 febbraio 2010

Devo paragonarti a una giornata estiva?


Sonetto nº 18 Devo paragonarti a una giornata estiva?

Devo paragonarti a una giornata estiva?
Tu sei più incantevole e mite.
Impetuosi venti scuotono le tenere gemme di maggio
e il corso dell’estate è fin troppo breve.
Talvolta troppo caldo splende l’occhio del cielo
e spesso il suo aureo volto è offuscato,
e ogni bellezza col tempo perde il suo fulgore,
sciupata dal caso o dal corso mutevole della natura.
Ma la tua eterna estate non sfiorirà,
né perderai possesso della tua bellezza;
né morte si vanterà di coprirti con la sua ombra,
poiché tu cresci nel tempo in versi eterni.
Finché uomini respirano e occhi vedono,
vivranno questi miei versi, e daranno vita a te.

William Shakespeare

lunedì 8 febbraio 2010

KAFKA

di Franz Krauspenhaar

Kafka, quanta disperazione in quell’insetto
che ronzava sopra la mia testa, una specie
di mosca viola, la metamorfosi di un sogno
all’apertura di un libro, giovinetto come
l’angoscia di chi non sa, di chi dietro
le curve dell’incanto spegne fuochi
polverizzati, senza un significato.

Kafka, da un castello silenzioso,
guardava se stesso girare, là sotto,
cercare l’entrata al labirinto, taglio
netto nella gola; il suono d’urlo
non si emette, il silenzio è fuoco
di maglie strette, di prigione,
l’uomo è vinto al suo secolo
perenne, lento, giunto fin qui.

Kafka, in quell’America di fossili
pulsanti e circhi folli e navi nere
e trionfanti come le piattaforme
di un vampiro. Nosferatu nel bianco
del sogno, ottuso, compagno
d’aliti nel viaggio continentale.

Kafka al processo, milioni di anime
e danni e colpe scorse come pieghe
dagli anni, la colpa d’un’esistenza
fallita, grigia; sinfonica accettazione
del nulla, della perdita di un senso.

Tornando al cambiamento surreale,
di ritorno da un viaggio sopra pagine
che prima di morire lui voleva nere,
illeggibili nella sparizione; e appare
il mondo un cupo, lungo risveglio,
un tenebroso abbandono alla calma
irreale. Kafka ci abbandona al niente,
a questo dolerci dentro l’interrogarci.

Le iniziali mi fecero spavento, le mie stesse,
F e K e la Boemia come terra d’origine
e il padre della lettera, così a trovare
ossa spoglie, lasciate nelle nostre stesse terre.
Non saprei chi sono se non ci fosse
Kafka, a dimostrarmi che fui altro,
prima di poterlo sapere. Kafka è il dono
d’un rampicante invincibile,
d’un verbo immenso che tiene ogni frase,
concetto, salto, discesa e prigione.

Nei miei quindici anni leggevo i racconti
come resoconti di un fantasma. Cercavo
nelle note il diagramma, la spiegazione
di ciò che era inspiegabile. Leggevo
parole incomprensibili di filosofi attenti,
maniacali, votati per la vita all’esegesi.

Max Brod lo vedevo pesante, un macigno
sopra di lui e dentro di sé, grasso compresso
dal voto d’infedeltà. Non volle buttare
al vento le nervature del genio, volle invece
trasportare quell’opera già nata postuma
per i lunghi raccordi di pietra della storia.

Di fronte a quelle pagine erette e pulite,
distoniche e assurde, l’esistenza si spiega,
come nessun filosofo può ardire.
Nessuna sentenza certa, ma la fantasia
di ciò che ci è vicino, dentro, tra occhi
e lingua e tatto, di cui tutto ha l’impregno.
Kafka tracciò le note oceaniche del moderno
sentire e del procedere senza ore,
né bussole, né porti di vero attracco salvo.

venerdì 5 febbraio 2010

Lentamente muore..




Lentamente muore chi diventa schiavo dell'abitudine, ripetendo ogni
giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marca, chi non
rischia e cambia colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce.

Muore lentamente chi evita una passione, chi preferisce il nero su
bianco e i puntini sulle "i" piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che fanno di uno
sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore davanti
all'errore e ai sentimenti.

Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, chi è infelice sul
lavoro, chi non rischia la certezza per l'incertezza, per inseguire un
sogno, chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai
consigli sensati. Lentamente muore chi non viaggia, chi non legge, chi
non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso. Muore lentamente
chi distrugge l'amor proprio, chi non si lascia aiutare; chi passa i
giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante.

Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo, chi non
fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non risponde quando gli
chiedono qualcosa che conosce.

Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo
richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di
respirare.
Soltanto l'ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida
felicità.

(P. Neruda)